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Latini, Brunetto
La rettorica

Argomento 95. Tullio sopra lo prolago.

TULLIO

Dalla nostra persona se noi dicemo sanza superbia de' nostri fatti e de' nostri officii; e se noi ne leviamo le colpe che nne sono apposte e le disoneste sospeccioni; e se noi contiamo i mali che nne sono advenuti et li 'ncrescimenti che nne sono presenti; e se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino.


SPONITORE

Conquistare benivolenza dalla nostra persona si è dicere della persona nostra, o di coloro per cui noi dicemo, quelle pertenenze per le quali l'uditore sia benivolo verso noi. Et sappie che certe cose s'apartengono alle persone e certe alla causa; e di queste pertinenze tratterà il conto sofficientemente, e fie molto bella et utile materia ad imprendere. Et qui pone Tullio quattro modi d'acquistare benivolenza dalla nostra persona. Il primo modo si è se noi dicemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' nostri fatti e de' nostri officii. Et intendi che dice «fatti» quelli che noi facemo non per distretta di legge o per forza, ma per movimento di natura. Et così dicendo Dido d'Eneas acquistò la benivolenza degli uditori: «Io» dice ella, «accolsi e ricevetti in sicura magione colui ch'era cacciato in periglio di mare, et quasi anzi ch'io udisse il nome suo li diedi il mio reame». Et così dice che ella si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugìa dalla distruzione di Troia. Et al ver dire noi avemo merzé e pietade delle strane genti per natura, non per distretta. Ma offici sono quelle cose le quali noi facemo per distretta, non per movimento di natura. Onde dice Tullio che dell'uno e dell'altro dovemo dire temperatamente sanza superbia. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a noi et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono messe et apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati que' peccati che sono apposti altrui apertamente davanti al viso, sì come fue apposto a Boezio ch'elli avea composte lettere del tradimento dello 'mperadore. Il quale peccato removeo elli per una pertenenza di sua persona, cioè per sapienza, dicendo così: «Delle lettere composte falsamente che convien dire? la froda delle quali sarebbe manifestamente paruta se noi fossimo essuti alla confessione dell'accusatore». Le disoneste sospeccioni sono le colpe ch'altre pensa in contra ad un altro, ma no-lle pone davante al viso, sì come molti pensavano che Boezio adorasse i domoni per desiderio d'avere le dignitadi; e questa sospeccione si levò elli parlando alla Filosofia, che disse: «Mentiro che pensaro ch'io sozzasse la mia coscienza per sacrilegio (o per parlamento de' mali spiriti). Ma tu, Filosofia, commessa in me cacciavi del mio animo ogne desiderio delle mortali cose». Et così parve che volesse dire: «Poi che in me avea sapienzia, non era da credere che in me fosse così laido fallimento». Tutto altressì Elena, vogliendosi levare la sospeccione che 'l suo marito avea di lei, disse: «Elli che ssi fida in me della vita, dubita per la mia biltade; ma cui assicura prodezza non dovrebbe impaurire l'altrui bellezza». Il terzo modo è se noi contiamo i mali che sono advenuti e li 'ncrescimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò ch'avenuto era, acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: «Per guidardone della verace vertude soffero pene di falso incolpamento». Et Dido, dicendo i suoi mali dopo il dipartimento d'Eneas, acquistò la benivolenza per la sua misaventura, e disse: «Io sono cacciata et abandono il mio paese e lla casa del mio marito e vo fuggendo per gravosi cammini in caccia de' nemici». Altressì Julio Cesare, vedendosi in perillio di guerra, contò i mali c'a llui poteano advenire, per confortare i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle pene di Cesare, guardate le catene e pensate che questa testa è presta a' ferri e' membri a spezzamento». Il quarto modo è se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino, cioè devotamente e con reverenza chiamare merzede con grande umilitade. Et intendi che preghiera è appellata sanza congiuramento. Verbigrazia: Pompeio, vegiendosi alla pugna della mortal guerra di Cesare, confortando i suoi di battaglia disse: «Io vi priego de' miei ultimi fatti e delli anni della mia fine, perché non mi convenga essere servo in vecchiezza, il quale sono usato di segnoreggiare in giovane etade». Et queste preghiere talfiata sono aperte, sì come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose, sì come quelle di Dido in queste parole ch'ella mandò ad Eneas: «Io» disse ella «non dico queste parole perch'io ti creda potere muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon pregio e la castitade del corpo e dell'animo, non è gran cosa a perdere le parole e le cose vili». Ma scongiuramento è quando noi preghiamo alcuna persona per Dio o per anima o per avere o per parenti o per altro modo di scongiurare, sì come Dido fece ad Eneas: «Io ti priego» disse ella «per tuo padre, per le lance e per le saette de' tuoi fratelli e per li compagnoni che teco fuggiro, per li dei e per l'altezza di Troia» etc. Or à detto il conto del primo luogo donde muove la benivolenza, cioè della nostra persona e di coloro che sono a noi; omai dirà il secondo luogo, cioè della persona delli adversarii e di coloro contra cui noi dicemo.