Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina | Vai alla colonna di sinistra

Colonna con sottomenu di navigazione


immagine Dante

Contenuto della pagina


-
Menu di navigazione

Latini, Brunetto
La rettorica

Argomento 76. Di sei parti della diceria.

TULLIO

Per la qual cosa, quando il giudicamento e quelli argomenti che bisognano di trovare al giudicamento saranno diligentemente trovati secondo l'arte e trattati con cura e con cogitatione, ancora sono da ordinare l'altre parti della diceria, le quali pare a nnoi al tutto che siano sei: Exordio, narrazione, partigione, confermamento, riprensione e conclusione.


SPONITORE

Poi che Tullio sofficientemente à dimostrato la chiarezza delle cause et àe comandato che 'l buono parliere innanzi pensi tutte le parti della causa per accordare il mezzo e la fine colla comincianza del suo dire, sì che sia l'una parola nata dell'altra, sì dice esso medesimo che poi che tutto questo ch'è fatto, e trovato il giudicamento della causa e ciò che vi bisogna secondo i comandamenti di rettorica (i quali si convengono trattare con molto studio e con grande deliberazione); anco sopra tutto questo si convengono pensare l'altre parti della diceria, delle quali non è detto neente, e sono sei; e di ciascuna per sé tratterà il libro interamente.

Lo sponitore chiarisce tutto ciò ch'è detto inn adietro.


SPONITORE

Et sopra questo punto, anzi che 'l conto vada più innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo porto, per cui amore è composto il presente libro non sanza grande afanno di spirito, che 'l suo intendimento sia chiaro e lo 'ngegno aprenditore, e la memoria ritenente a intendere le parole che son dette inn adietro e quelle che seguitano per innanzi, sì che sia, come desidera, dittatore perfetto e nobile parladore, della quale scienzia questo libro è lumiera e fontana. Et avegna che 'l libro tratti pur sopra controversie et insegni parlare sopra le cose che sono in tencione, et insegna cognoscere le cause e lle questioni, e per mettere exempli dice sovente dell'accusato e dell'accusatore, penserebbe per aventura un grosso intenditore che Tullio parlasse delle piatora che sono in corte, e non d'altro. Ma ben conosce lo sponitore che 'l suo amico è guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede la propria intenzione del libro, e che lle piatora s'apartengono a trattare ai segnori legisti; e che rettorica insegna dire appostatamente sopra la causa proposta, la qual causa no è pur di piatora né pur tra accusato et accusatore, ma è sopra l'altre vicende, sì come di sapere dire inn ambasciarie et in consigli de' signori e delle comunanze et in sapere componere una lettera bene dittata. Et se Tullio dice che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni e questioni e ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee pensare un buono intenditore che tuttodie ragionano le genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene sovente che ll'uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo modo e l'altro dice il contrario, sì che sono in tencione; e l'uno appone e l'altro difende, e perciò quelli che appone contra l'altro è appellato accusatore e quelli che difende èe appellato accusato, e quello sopra che contendono è appellata causa. Onde se ll'uno appone e l'altro niega, al postutto di questo non puote nascere questione se non di sapere se quella cosa che niega elli l'à fatta o detta o no. Ma quando l'uno appone e l'altro difende, sì è la causa incominciata et ordinata tra lloro. Et questo è la constituzione della quale nasce la questione, cioè se lla sua difesa è a ragione o no; e poi ciascuno contende come pare a llui per confermare le sue parole e per indebolire quelle dell'altro, sì come appare per adietro nel trattato della questione e della ragione e del giudicamento e del fermamento. Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono li exempli messi inn adietro, che Orestes fosse accusato in corte della morte di sua madre; ma le genti ne contendeano intra loro, ché ll'uno dicea che non avea fatto né bene né ragione, e questo è appellato accusatore, un altro dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea fatto bene e ragione, e questo è appellato nel libro accusato. De' consiglieri. Così aviene intra ' consiglieri de' signori e delle comunanze, che poi che sono asemblati per consigliare sopra alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è messa e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro pare un'altra; e così è già fatta la constituzione della causa, cioè ch'è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce questione s'elli à ben consigliato o no. Et questo è quello che Tullio appella questione. Et perciò l'uno, poi ch'elli àe detto e consigliato quello che llui ne pare, immantenente assegna la ragione per la quale il suo consiglio èe buono e diritto. Et questo è quello che Tullio appella ragione. Et poi ch'elli àe assegnata la cagione e la ragione per che, si sforza di mostrare perché s'alcuno consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male e non diritto; e così infievolisce la partita che è contra il suo consiglio; e questo è quello che Tullio appella giudicamento. Et poi ch'elli àe indebolita la contraria parte, sì raccoglie tutti i fermissimi argomenti e le forti ragioni che puote trovare per più indebolire l'altra parte e per confermare la sua ragione; e questo è quello che Tullio appella fermamento. Et certo queste quattro parti, cioè questione, ragione, giudicamento e fermamento, possono essere tutte nella diceria dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò ch'è detto di sopra. Et puote bene essere la sua diceria pur dell'una, cioè pur infine alla questione, dicendo il suo parere e non assegnando sopra ciò altra ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il suo parere et assegnando ragione per che. Et puote bene essere pur di tre, cioè dicendo il suo parere et assegnando ragione per che et indebolendo la contraria parte. Et puote essere di tutte e quattro sì come fue dimostrato di sopra. Quest'è la diceria del primo parliere. E poi ch'elli à consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si leva un altro consigliere e dice tutto il contrario che àe detto colui davanti; e così è fatta la constituzione, cioè la causa ordinata, e cominciata la tencione; e sopra i loro detti, che sono varii e diversi, nasce questione, se colui avea bene consigliato o no. Poi dimostra la ragione perché il suo consiglio è migliore. Apresso indebolisce il detto e 'l consiglio di colui ch'avea detto dinanzi da llui; e poi riconferma il consiglio suo per tutti i più fermi argomenti che può trovare. Adunque le predette quattro cose o parti possono essere nel detto del primo parliere e nel detto del secondo e di ciascuno parlamentare. Cosìe usatamente adviene che due persone si tramettono lettere l'uno all'altro o in latino o in proxa o in rima o in volgare o inn altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa, e così fanno tencione. Altressì uno amante chiamando merzé alla sua donna dice parole e ragioni molte, et ella si difende in suo dire et inforza le sue ragioni et indebolisce quelle del pregatore. In questi et in molti altri exempli si puote assai bene intendere che lla rettorica di Tullio non è pure ad insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna che neuno possa buono advocato essere né perfetto se non favella secondo l'arte di rettorica.

Et ben è vero che llo 'nsegnamento ch'è scritto inn adietro pare che ssia molto intorno quelle vicende che sono in tencione et in contraversia tra alcune persone, le quali contendano insieme l'uno incontra l'altro; e potrebbe alcuno dicere che molte fiate uno manda lettera ad altro ne la quale non pare che tencioni contra lui (altressì come uno ama per amore e fa canzoni e versi della sua donna, nelli quali non à tencione alcuna intra llui e la donna), e di ciò riprenderebbe il libro e biasmerebbe Tullio e lo sponitore medesimo di ciò che non dessero insegnamento sopra ciò, maximamente a dittare lettere, le quali si costumano e bisognano più sovente et a più genti, che non fanno l'aringhiere e parlare intra genti. Ma chi volesse bene considerare la propietà d'una lettera o d'una canzone, ben potrebbe apertamente vedere che colui che lla fa o che lla manda intende ad alcuna cosa che vuole che sia fatta per colui a cui e' la manda. Et questo puote essere o pregando o domandando o comandando o minacciando o confortando o consigliando; e in ciascuno di questi modi puote quelli a cui vae la lettera o la canzone o negare o difendersi per alcuna scusa. Ma quelli che manda la sua lettera guernisce di parole ornate e piene di sentenzia e di fermi argomenti, sì come crede poter muovere l'animo di colui a non negare, e, s'elli avesse alcuna scusa, come la possa indebolire o instornare in tutto. Dunque è una tencione tacita intra loro, e così sono quasi tutte le lettere e canzoni d'amore in modo di tencione o tacita o espressa; e se così no è, Tullio dice manifestamente, intorno 'l principio di questo libro, che non sarebbe di rettorica. Ma tuttavolta, o tencione o no tencione che sia, Tullio medesimo, luogo innanzi, isforza i suoi insegnamenti in parlare et in dittare secondo la rettorica; e là dove Tullio sine pasasse o paresse che dica pur insegnamenti sopra dire tencionando, lo sponitore isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e sì intendevolemente che 'l suo amico potrà bene intendere l'una materia e l'altra. Et ecco Tullio che incomincia a dire di quelle partite della diceria o d'una lettera dittata, delle quali non avea detto neente in adietro: e queste parti sono sei, sì come apare in questo arbore: DICERIA: exordio-narrazione-partigione-confirmazione riprensione-conclusione.

Queste sono le sei parti che Tullio mostra certamente che sono nella diceria o nella pistola, specialmente in quelle che sono tencionando, sì come appare nel detto dello sponitore qui adietro; e, sì come detto fue in altra parte di questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle cause le quali sono in contraversia et in tencione. Et ben dice tutto a certo che lle parole che non si dicono per tencione d'una parte incontra un'altra non sono per forma né per arte di rettorica. Ma perciò che lla pistola, cioè la lettera dettata, spessamente non è per modo di tencionare né di contendere, anzi è uno presente che uno manda ad un altro, nel quale la mente favella et è udito colui che tace e di lontana terra dimanda et acquista la grazia, la grazia ne 'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte cose mette inn iscritta le quali si temerebbe e non saprebbe dire a lingua in presenzia; sì dirae lo sponitore un poco dell'oppinione de' savi e della sua medesima in quella parte di rettorica ch'apartene a dittare, sì come promise al cominciamento di questo libro. Et dice che dittare è un dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convenevolemente aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del dittare, e perciò conviene intendere ciascuna parola d'essa diffinizione. Unde nota che dice «dritto trattamento» perciò che lle parole che ssi mettono inn una lettera dittata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il nome col verbo, e 'l mascunino e 'l feminino, e lo singulare e 'l plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e l'altre cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo sponitore dirà un poco in quella parte del libro che fie più avenente; e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti di rettorica dicendo e dittando. Et dice «ornato trattamento» perciò che tutta la pistola dee essere guernita di parole avenanti e piacevoli e piene di buone sentenze; et anche questo ornato si richiede in tutte le parti di rettorica, sì come fue detto inn adietro sopra 'l testo di Tullio. Et dice «trattamento di ciascuna cosa» perciò che, sì come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire puote essere materia del dittatore; et in questo si divisa dalla sentenzia di Tullio, che dice che lla materia del parliere non è se non in tre cose, ciò sono dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et dice «convenevolemente aconcio a quella cosa» perciò che conviene al dittatore asettare le parole sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle non fossero aconcie alla materia. Così è divisato il dittatore da cciò che dice Tullio; e perciò di queste due materie, cioè del dire e del dittare, e dello 'nsegnamento dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello sponitore prendere la dritta via. Et per questo divisamento conviene che lle parti della pistola si divisino da queste della diceria che Tullio à detto che sono sei, ciò sono: exordio, narrazione, partigione, confermamento, riprensione e conclusione. I. È oppinione di Tullio che exordio sia la prima parte della diceria, il quale apparecchia l'animo dell'uditore a l'altre parole che rimagnono a dire, e questo è appellato prologo della gente. II. Et dice che narrazione è quella parte della diceria nella quale si dicono le cose che sono essute o che non sono essute, come se essute fossoro; e questo è quando uomo dice il fatto sopra 'l quale esso ferma la forma della sua diceria. III. Et dice che è partigione quando il parliere à narrato e contato il fatto et e' sì viene partiendo la sua ragione e quella dell'aversario e dice: «Questo fue così, e quest'altro così»; et in questo modo acoglie quelle partite che sono a llui più utili e più contrarie all'aversario, et afficcale all'animo dell'uditore; et allora pare ch'al tutto abbia detto tutto 'l fatto. IV. Et dice che confermamento è quella parte della diceria nella quale il parlieri reca argomenti et assegna ragioni per le quali agiugne fede et altoritade alla sua causa. V. Et dice che riprensione è quella parte della diceria nella quale il parliere reca cagioni e ragioni et argomenti per li quali attuta e menoma et indebolisce il confermamento dell'aversario. VI. Et dice che conclusione è lla fine e 'l termine di tutta la diceria. Queste sono le sei parti che dice Tullio che sono e debbono essere nella diceria; e di ciascuna tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma in questo ch'è detto puote uomo bene intendere che queste sei medesime possono convenire inn una pistola, di tal materia puote ella essere. Ma tuttavolta, di qualunque materia sia, nelle tre di queste sei parti s'accorda bene la pistola colla diceria, cioè nello exordio, narrazione e nella conclusione; ma ll'altre tre, cioè partigione, confermamento e reprensione, possono più lievemente rimanere e non avere luogo nella pistola. Tutto altressì la pistola àe cinque parti, delle quali l'una può bene rimanere e non avere luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè «petitio», avegnaché Tulio no-lla nominasse intra lle parti della diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'appena pare che diceria possa essere sanza petizione. Dunque le parti della pistola sono cinque, ciò sono salutazione, exordio, narrazione, petizione e conclusione, sì come appare in questo arbore: EPISTOLA: salutazione-exordio-narrazione-petizione conclusione.

Et se alcuno domandasse per qual cagione Tullio intralasciò la salutazione e non ne trattò nel suo libro, certo lo sponitore ne renderà bene ragione in questo modo. Certa cosa è che Tullio nel suo libro tratta delle dicerie che ssi fanno in presenzia, nelle quali non bisogna di contare il nome del parlieri né dell'uditore. Ma nella pistola bisogna di mettere le nomora del mandante e del ricevente, c'altrimente non si puote sapere a certo né l'uno né l'altro. Apresso ciò, la salutazione pare che sia dell'exordio; ché sanza fallo chi saluta altrui per lettera già pare che cominci suo exordio. Et Tullio trattòe dello exordio compiutamente, non curò di divisare della salutazione né distendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò che pare che rechi tutta la rettorica a parlare et in controversia tencionando. Et in perciò furo alcuni che diceano che lla salutazione non era parte della pistola, ma era un titolo fuor del fatto. Et io dico che la salutazione è porta della pistola, la quale ordinatamente chiarisce le nomora e' meriti delle persone e l'affezione del mandante. Et nota che dice «porta», cioè entrata della pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante e del ricevente; e dice «i meriti delle persone», cioè il grado e l'ordine suo, sì come a dire: «Innocenzio papa», «Federigo Imperadore», «Acchilles cavaliere», «Oddofredi Judice», e così dell'altre gradora. Et dice «ordinatamente», cioè che mette il nome e 'l grado di ciascuno come s'aviene; e dice «l'affezione del mandante», cioè com'elli manda al ricevente salute o altra parola di bene, o per aventura di male, secondo la sua affezione, cioè secondo la sua volontade. Adunque pare manifestamente che lla salutazione è così parte della pistola come l'occhio dell'uomo. Et se l'occhio è nobile membro del corpo dell'uomo, dunque la salutazione è nobile parte della pistola, c'altressì allumina tutta la lettera come l'occhio allumina l'uomo. Et al ver dire, la pistola nella quale non à salutazione è altrettale come la casa che non à porta né entrata e come 'l corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla chi dice che salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s'inchiude e sugella dentro; ma 'l titolo della pistola è la soprascritta di fuori, la quale dice a cui sia data la lettera. Ben dico c'alcuna volta il mandante non scrive la salutazione, o per celare le persone se lla lettera pervenisse ad altrui o per alcun'altra cosa o cagione. Né non dico che tutta fiata convenga salutare, ma o per desiderio d'amore, o per solazzo, talora si mandano altre parole che portano più incarnamento e giuoco che non fa a dire pur salute. Et a' maggiori non dee uomo mandare salute, ma altre parole che significhino reverenzia e devozione; e talvolta no scrivemo a' nemici altro che lle nomora e tacemo la salute, o per aventura mettemo alcuna altra parola che significa indegnamento o conforto di ben fare o altra cosa; sì come fa il papa che scrivendo a' giudei o ad altri uomini che non sono della nostra catholica fede o a' nemici della Santa Chiesa tace la salute, e talvolta mette in quel luogo spirito di più sano consiglio o connoscere la via della veritade o abundare inn opera di pietade et altre simili cose.

Adunque provedere dee il buono dittatore che, similemente come saluta l'uno uomo l'autro trovandolo in persona, così il dee salutare in lettera mettendo et adornando parole secondo che la condizione del ricevente richiede. Ché quando uomo va davante a messer lo papa o davante ad imperadore o a altro segnore ecclesiastico o seculare, certo elli va con molta reverenzia et inchina la testa, et alla fiata si mette in terra ginocchioni per basciare il piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee lo dettatore nominare lo ricevente e la sua dignitade con parole di sua onoranza e metterlo dinanzi; apresso dee nominare sé medesimo e la sua dignitade, e poi dee scrivere la sua affezione, cioè quello che desidera che venga a colui che riceve la lettera, sì come salute o altro che sia avenante, tuttavolta guardando che questa affezione sia di quella guisa e di quelle parole che ssi convegnono al mandante et al ricevente. Ché quando noi scrivemo a' maggiori di noi o di nostro paraggio o di minore grado, noi dovemo mandare tali parole che ssiano accordanti alle persone et allo stato loro. Et non pertanto ch'io abbia detto che 'l nome del maggiore si de' mettere dinanzi e del pare altressì, io òe ben veduto alcuna fiata che grandi principi e signori scrivendo a mercatanti o ad altri minori mettono dinanzi il nome di colui a cui mandano, e questo è contra l'arte; ma fannolo per conseguire alcuna utilitade. Perciò sia il dittatore accorto et adveduto in fare la salutazione avenante e convenevole d'ogne canto, sicché in essa medesima con quisti la grazia e la benivoglienza del ricevente, sì come noi dimostramo avanti secondo la rettorica di Tullio. Et bene è questa materia sopr'alla quale lo sponitore potrebbe lungamente dire e non sanza grande utilitade. Ma considerando che lla subtilitade perché 'l verbo non si mette nella salutazione, e che 'l nome del mandante si mette in terza persona per significamento di maggiore umilitade, e che tal fiata si scrive pur la primiera lettera del nome, par che tocchi più a' dittatori in latino che 'n volgare, sene passerà lo sponitore brevemente e seguirà la materia di Tullio per dicere dell'altre parti della diceria e di quelle della pistola, sì come porta l'ordine. Et in questo luogo si parte il conto della salutazione, e dirà dell'exordio in due guise: l'una secondo ciò che nne dice Tullio e che pare che ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi conviene ad una lettera dittata et ad una medesima diceria, oltre quello che porta il testo di Tullio.