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Latini, Brunetto
La rettorica

Argomento 4

TULLIO

Dunque se noi volemo considerare il principio d'eloquenzia la quale sia pervenuta in uomo per arte o per studio o per usanza o per forza di natura, noi troveremo che sia nato d'onestissime cagioni e che ssia mosso d'ottima ragione. Acciò che fue un tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li campi in guisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere, e facea ciascuno quasi tutte cose per forza di corpo e non per ragione d'animo; et ancora in quello tempo la divina religione né umano officio non erano avuti in reverenzia. Neuno uomo avea veduto legittimo managio, nessuno avea connosciuti certi figliuoli, né aveano pensato che utilitade fosse mantenere ragione et agguallianza. E così per errore e per nescitade la cieca e folle ardita signoria dell'animo, cioè la cupiditade, per mettere in opera sé medesima misusava le forze del corpo con aiuto di pessimi seguitatori.


SPONITORE

In questa quarta parte del prologo vogliendo Tulio dimostrare che eloquenzia nasce e muove per cagione e per ragione ottima et onestissima, sì dice come in alcuno tempo erano gli uomini rozzi e nessci come bestie; e dell'uomo dicono li filosofi, e la santa scrittura il conferma, che egli è fermamento di corpo e d'anima razionale, la quale anima per la ragione ch'è in lei àe intero conoscimento delle cose.

Onde dice Vittorino: Sì come menoma la forza del vino per la propietade del vasello nel quale è messo, cosìe l'anima muta la sua forza per la propietade di quello corpo a cui ella si congiunge. Et però, se quel corpo è mal disposto e compressionato di mali homori, la anima per gravezza del corpo perde la conoscenza delle cose, sì che appena puote discernere bene da male, sì come in tempo passato nell'anime di molti le quali erano agravate de' pesi de' corpi, e però quelli uomini erano sì falsi et indiscreti che non conosceano Dio né lloro medesimi. Onde misusavano le forze del corpo uccidendo l'uno l'altro, tolliendo le cose per forza e per furto, luxuriando malamente, non connoscendo i loro proprii figliuoli né avendo legittime mogli.

Ma tuttavolta la natura, cioè la divina disposizione, non avea sparta quella bestialitade in tutti gli uomini igualmente; ma fue alcuno savio e molto bello dicitore il quale, vedendo che gli uomini erano acconci a ragionare, usò di parlare a lloro per recarli a divina connoscenza, cioè ad amare Idio e 'l proximo, sì come lo sponitore dicerà per innanzi in suo luogo; e perciò dice Tulio nel testo di sopra che eloquenzia ebbe cominciamento per onestissime cagioni e dirittissime ragioni, cioè per amare Idio e 'l proximo, ché sanza ciò l'umana gente non arebbe durato.

Et là dove dice il testo che gli uomini isvagavano per li campi intendo che non aveano case né luogo, ma andavano qua e là come bestie.

Et là dove dice che viveano come fiere intendo che mangiavano carne cruda, erbe crude et altri cibi come le fiere.

Et là dove dice «tutte cose quasi faceano per forza e non per ragione» intendo che dice «quasi» ché non faceano però tutte cose per forza, ma alquante ne faceano per ragione e per senno, cioè favellare, disiderare et altre cose che ssi muovono dall'animo.

Et là dove dice che divina religione non era reverita intendo che non sapeano che Dio fosse.

Et là dove dice dell'umano officio intendo che non sapeano vivere a buoni costumi e non conosceano prudenzia né giustizia né l'altre virtudi.

Et là dove dice che non manteneano ragione intendo «ragione» cioè giustizia, della quale dicono i libri della legge che giustizia è perpetua e ferma volontade d'animo che dae a ciascuno sua ragione.

Et là dove dice «aguaglianza» intendo quella ragione che dae igual pena al grande et al piccolo sopra li eguali fatti.

Et là dove dice «cupiditade» intendo quel vizio ch'è contrario di temperanza; e questo vizio ne conduce a disiderare alcuna cosa la quale noi non dovemo volere, et inforza nel nostro animo un mal signoraggio, il quale nol permette rifrenare da' rei movimenti.

Et là dove dice «nescitade» intendo ch'è nnone connoscere utile et inutile; e però dice ch'è cupidità cieca per lo non sapere, e che non conosce il prode e 'l danno.

Et là dove dice «folle ardita» intendo che folli arditi sono uomini matti e ratti a ffare cose che non sono da ffare.

Et là dove dice «misusava le forze del corpo» intendo misusare cioè usare in mala parte; ché dice Vittorino che forza di corpo ci è data da Dio per usarla in fare cose utili et oneste, ma coloro faceano tutto il contrario.

Ora à detto lo sponitore sopra 'l testo di Tulio le cagioni per le quali eloquenzia cominciò a parere. Omai dicerae in che modo appario e come si trasse innanzi.