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Guittone d'Arezzo
Rime

CXLIII

All'amore di Dio, se non il bene che ci promette, ci dovrebbe almeno indurre il timore della pena eterna.

O felloneschi, o traiti, o forsennati,
o nemici provati
de noi stessi, piò d'altri mortali:
signore, padre aven, ch'ha noi creati,
e de sé comperati,
e che ben terren danne spiritali,
e a regn'eternale hane ordinati,
sol per odiar peccati,
e per vertudi amar razionali;
se nol seguin, saren qui tribulati,
e appresso dannati
senza remedio a torment'eternali!
O miser noi, come non donque amore
di tanto e tal signore,
o diletto di sì dolze gran bene
lo cor nostro non tene,
e ci fa sol ragion om debitore?
E se dei doni suoi noi non sovene,
né diletto ne vene
di ciò che ne promette, almen lo core
ne dea stringer temore
di tante perigliose eternai pene.