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Alighieri, Dante
Vita Nova

2

A questo sonnet fu risposto da molti, e di diverse sententie: tra li quali fu risponditore quelli cui io chiamo primo delli miei amici, e disse allora uno sonnet, lo quale comincia Vedesti, al mio parere, omne valore. E questo fu quasi lo principio dell'amistà tra lui e me, quando elli seppe che io era quelli che li avea ciò mandato. Lo verace iuditio del detto sogno non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifestissimo alli più semplici. Da questa visione innanzi cominciò lo mio spirito naturale ad essere impedito nella sua operatione, però che l'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima. Onde io divenni in picciolo tempo poi di sì frale e debole conditione, che a molti amici pesava della mia vista; e molti pieni d'invidia già si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altri. E io, accorgendomi del malvagio domandare che mi faceano, per la volontà d'Amore, lo quale mi comandava secondo lo consiglio della Ragione, rispondea loro che Amore era quelli che m'avea così governato. Dicea d'Amore, però che io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavano: «Per cui t'à così distructo questo Amore?», e io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro. Uno giorno avenne che questa gentilissima sedea in parte ove s'udivano parole della Regina della gloria, e io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine; e nel mezzo di lei e di me per la recta linea sedea una gentil donna di molto piacevole aspecto, la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare che parea che sopra lei terminasse. Onde molti s'accorsero del suo mirare, e in tanto vi fue posto mente, che partendomi da questo luogo mi sentio dire apresso me: «Vedi come cotale donna distrugge la persona di costui», e nominandola, intesi che dicea di colei che mezzo era stata nella linea recta che movea dalla gentilissima Beatrice e terminava negli occhi miei. Allora mi confortai molto, assicurandomi che lo mio secreto non era comunicato lo giorno altrui per mia vista. E immantanente pensai di fare di questa gentil donna schermo della veritade, e tanto ne mostrai in poco di tempo, che lo mio secreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi. E per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facesse a tractare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascerò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò che pare che sia loda di lei. Dico che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di volere ricordare lo nome di quella gentilissima e acompagnarlo di molti nomi di donne, e spetialmente del nome di questa gentil donna. E presi li nomi di .lx. le più belle donne della cittade ove la mia donna fu posta dall'Altissimo Sire, e compuosi una pìstola sotto forma di serventese, la quale io non scriverò; e non n'avrei facto mentione, se non per dire quello che, componendola, maravigliosamente adivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse lo nome della mia donna stare se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. La donna colla quale io avea tanto tempo celata la mia volontade convenne che si partisse della sopradecta cittade e andasse in paese molto lontano; per che io, quasi sbigottito della bella difesa che m'era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, propuosi di farne alcuna lamentanza in uno sonnet, lo quale io scriverò, acciò che la mia donna fue immediata cagione di certe parole che nel sonnet sono, sì come appare a chi lo 'ntende. E allora dissi questo sonnet che comincia O voi che per.

O voi che per la via d'Amor passate,
attendete e guardate
s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave;
e prego sol che audir mi sofferiate,
e poi ymaginate
s'io son d'ogni tormento ostale e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,
ma per sua nobiltate,
mi pose in vita sì dolce e soave,
ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate:
«Deh, per qual dignitate
così leggiadro questi lo cor àve?»
Or ò perduta tutta mia baldanza,
che si movea d'amoroso tesoro,
ond'io pover dimoro,
in guisa che di dir mi ven dottanza.
Sì che volendo far come coloro
che per vergogna celan lor mancanza,
di fuor mostro allegranza,
e dentro dallo core struggo e ploro.

Questo sonnet à due parti principali, che nella prima intendo chiamare li fedeli d'Amore per quelle parole di Yeremia profeta, «O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus», e pregare che mi sofferino d'udire; nella seconda narro là ove Amore m'avea posto, con altro intendimento che le streme parti del sonnet non mostrano, e dico che io ò ciò perduto. La seconda parte comincia quivi Amor, non già.