Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina | Vai alla colonna di sinistra

Colonna con sottomenu di navigazione


immagine Dante

Contenuto della pagina


-
Menu di navigazione

Alighieri, Dante
Convivio

XXVIII

Apresso della ragionata particola è da procedere all'ultima, cioè a quella che comincia: poi nella quarta parte della vita, per la quale lo testo intende mostrare quello che fa la nobile anima nella ultima etade, cioè nel senio. E dice ch'ella fa due cose: l'una, che ella ritorna a Dio, sì come a quello porto onde ella si partio quando venne ad intrare nel mare di questa vita; l'altra si è che ella benedice lo cammino che ha fatto, però che è stato diritto e buono, e sanza amaritudine di tempesta. E qui è da sapere, che, sì come dice Tulio in quello Di Senettute, la naturale morte è quasi a noi porto di lunga navigazione e riposo. Ed è così: ché, come lo buono marinaio, come esso appropinqua al porto, cala le sue vele, e soavemente, con debile conducimento entra in quello; così noi dovemo calare le vele delle nostre mondane operazioni e tornare a Dio con tutto nostro intendimento e cuore, sì che a quello porto si vegna con tutta soavitade e con tutta pace. E in ciò avemo dalla nostra propia buona natura grande amaestramento di soavitade, ché in essa cotale morte non è dolore né alcuna acerbitate, ma sì come uno pomo maturo leggiermente e sanza violenza si dispicca dal suo ramo, così la nostra anima sanza doglia si parte dal corpo ov'ella è stata. Onde Aristotile in quello Di Gioventute e Senettute dice che «sanza tristizia è la morte ch'è nella vecchiezza». E sì come a colui che viene di lungo cammino, anzi ch'entri nella porta della sua cittade, se li fanno incontro li cittadini di quella, così alla nobile anima si fanno incontro, e deono fare, quelli cittadini della etterna vita; e così fanno per le sue buone operazioni e contemplazioni: ché, già essendo a Dio renduta e astrattasi dalle mondane cose e cogitazioni, vedere le pare coloro che apresso di Dio crede che siano. Odi che dice Tulio, in persona di Catone vecchio: «A me pare già vedere e levomi in grandissimo studio di vedere li vostri padri, che io amai; e non pur quelli che io stesso conobbi bramo d'incontrare, ma eziandio quelli di cui udi' parlare». Rendesi dunque a Dio la nobile anima in questa etade, e attende lo fine di questa vita con molto desiderio e uscire le pare dell'albergo e ritornare nella propia mansione, uscire le pare di cammino e tornare in cittade, uscire le pare di mare e tornare a porto. O miseri e vili che colle vele alte correte a questo porto, e là ove dovereste riposare, per lo impeto del vento rompete, e perdete voi medesimi là dove tanto camminato avete! Certo lo cavaliere Lanzalotto non volse in porto intrare colle vele alte, né lo nobilissimo nostro latino Guido montefeltrano. Bene questi nobili calaro le vele delle mondane operazioni, che nella loro lunga etade a religione si rendero, ogni mondano diletto ed opera disponendo. E non si puote alcuno escusare per legame di matrimonio, che in lunga etade lo tegna; ché non torna a religione pur quelli che a santo Benedetto, a santo Augustino, a santo Francesco e a santo Domenico si fa d'abito e di vita simile, ma eziandio a buona e vera religione si può tornare in matrimonio stando, ché Dio non volse religioso di noi se non lo cuore. E però dice santo Paulo alli Romani: «Non quelli ch'è manifestamente, è Giudeo, né quella ch'è manifesta in carne è circuncisione; ma quelli ch'è in ascoso è Giudeo, e la circuncisione del cuore, in ispirito non in littera, è circuncisione: la loda della quale è non dalli uomini ma da Dio». E benedice anco la nobile anima in questa etade li tempi passati; e bene li può benedicere, però che, per quelli rivolvendo la sua memoria, essa si rimembra delle sue diritte operazioni, sanza le quali al porto ove s'apressa, venire non si potea con tanta ricchezza né con tanto guadagno. E fa come lo buono mercatante, che, quando viene presso al suo porto, essamina lo suo procaccio e dice: Se io non fosse per cotal cammino passato, questo tesoro non avre' io, e non avrei di ch'io godesse nella mia cittade, alla quale io m'appresso; e però benedice la via che ha fatta. E che queste due cose convegnano a questa etade, ne figura quello grande poeta Lucano nel secondo della sua Farsalia, quando dice che Marzia tornò a Catone e richiese lui e pregollo che la dovesse riprendere nella sua etade quarta: per la quale Marzia s'intende la nobile anima. E potemo così ritrarre la figura a veritade: Marzia fu vergine, e in quello stato si significa l'adolescenza; poi si maritò a Catone, e in quello stato si significa la gioventute; fece allora figli, per li quali si significano le vertudi che di sopra si dicono alli giovani convenire; e partissi da Catone e maritossi ad Ortensio, per che si significa che si partì la gioventute e venne la senettute; fece figli di questo anche, per che si significano le vertudi che di sopra si dicono convenire alla senettute. Morì Ortensio; per che si significa lo termine della senettute; e vedova fatta – per lo qual vedovaggio si significa lo senio – tornò Marzia dal principio del suo vedovaggio a Catone, per che si significa, la nobile anima dal principio del senio tornare a Dio. E quale uomo terreno più degno fu di significare Dio che Catone? Certo nullo. E che dice Marzia a Catone? «Mentre che in me fu lo sangue», cioè la gioventute, «mentre che in me fu la maternale vertute», cioè la senettute, che bene è madre dell'altre vertudi, sì come di sopra è mostrato, «io» dice Marzia «feci e compiei li tuoi comandamenti», cioè a dire che l'anima stette ferma alle civili operazioni. Dice: «E tolsi due mariti», cioè a due etadi fruttifera sono stata. «Ora» dice Marzia «che 'l mio ventre è lasso, e che io sono per li parti vòta, a te mi ritorno, non essendo più da dare ad altro sposo», cioè a dire che la nobile anima, conoscendosi non avere più ventre da frutto, cioè li suoi membri sentendosi a debile stato venuti, torna a Dio, colui che non ha mestiere delle membra corporali. E dice Marzia: «Dammi li patti delli antichi letti, dammi lo nome solo del maritaggio»; che è a dire che la nobile anima dice a Dio: Dammi, Signor mio, omai lo riposo di te; dammi almeno che io in questa tanta vita sia chiamata tua. E dice Marzia: «Due ragioni mi movono a dire questo: l'una si è che dopo me si dica ch'io sia morta moglie di Catone; l'altra si è che dopo me si dica che tu non mi scacciasti, ma di buono animo mi maritasti». Per queste due cagioni si muove la nobile anima; e vuole partire d'esta vita sposa di Dio, e vuole mostrare che graziosa fosse a Dio la sua operazione. Oh sventurati e mal nati, che innanzi volete partirvi d'esta vita sotto lo titolo d'Ortensio che di Catone! Nel nome di cui è bello terminare ciò che delli segni della nobilitade ragionare si convenia, però che in lui essa nobilitade tutti li dimostra per tutte etadi.