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Alighieri, Dante
Convivio

I

Amore, secondo la concordevole sentenza delli savi di lui ragionanti, e secondo quello che per esperienza continuamente vedemo, è che congiunge e unisce l'amante colla persona amata; onde Pittagora dice: «Nell'amistà si fa uno di più». E però che le cose congiunte comunicano naturalmente intra sé le loro qualitadi, in tanto che talvolta è che l'una torna del tutto nella natura dell'altra, incontra che le passioni della persona amata entrano nella persona amante, sì che l'amore dell'una si comunica nell'altra, e così l'odio e lo desiderio e ogni altra passione. Per che li amici dell'uno sono dall'altro amati, e li nimici odiati; per che in greco proverbio è detto: «Delli amici essere deono tutte le cose comuni». Onde io, fatto amico di questa donna di sopra nella verace esposizione nominata, cominciai ad amare e odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai adunque ad amare li seguitatori della veritade e odiare li seguitatori dello errore e della falsitade, com'ella face. Ma però che ciascuna cosa per sé è da amare, e nulla è da odiare se non per sopravenimento di malizia, ragionevole ed onesto è, non le cose, ma le malizie delle cose odiare e procurare da esse di partire. E a ciò s'alcuna persona intende, la mia eccellentissima donna intende massimamente: a partire, dico, la malizia delle cose, la quale cagione è d'odio; però che in lei è tutta ragione e in lei è fontalmente l'onestade. Io, lei seguitando nell'opera sì come nella passione quanto potea, li errori della gente abominava e dispregiava, non per infamia o vituperio delli erranti, ma delli errori: li quali biasimando credea fare dispiacere, e dispiaciuti, partire da coloro che per essi eran da me odiati. Intra li quali errori uno io massimamente riprendea, lo quale non solamente è dannoso e pericoloso a coloro che in esso stanno, ma eziandio alli altri, che lui riprendano, porta dolore e danno. Questo è l'errore dell'umana bontade in quanto in noi è dalla natura seminata e che nobilitade chiamare si dee; che per mala consuetudine e per poco intelletto era tanto fortificato, che l'oppinione quasi di tutti n'era falsificata; e della falsa oppinione nascevano li falsi giudicii, e de' falsi giudicii nascevano le non giuste reverenze e vilipensioni: per che li buoni erano in villano despetto tenuti, e li malvagi onorati ed essaltati. La qual cosa era pessima confusione del mondo; sì come vedere puote chi mira quello che di ciò può seguitare, sottilmente. Il perché, con ciò fosse cosa che questa mia donna un poco li suoi dolci sembianti transmutasse a me, massimamente in quelle parti dove io mirava, e cercava se la prima materia delli elementi era da Dio intesa, – per la qual cosa un poco dal frequentare lo suo aspetto mi sostenni –, quasi nella sua assenzia dimorando, entrai a riguardare col pensiero lo difetto umano intorno al detto errore. E per fuggire oziositade, che massimamente di questa donna è nemica, e per istinguere questo errore che tanti amici le toglie, propuosi di gridare alla gente che per mal cammino andavano, acciò che per diritto calle si dirizzassero; e cominciai una canzone nel cui principio dissi: Le dolci rime d'amor ch'i' solia. Nella quale io intendo riducer la gente in diritta via sopra la propia conoscenza della verace nobilitade; sì come per la conoscenza del suo testo, alla esposizione del quale ora s'intende, vedere si potrà. E però che in questa canzone s'intese a rimedio così necessario, non era buono sotto alcuna figura parlare, ma convennesi per via tostana questa medicina dare, acciò che fosse tostana la sanitade; la quale corrotta, a così laida morte si correa. Non sarà dunque mestiere nella esposizione di costei alcuna allegoria aprire, ma solamente la sentenza secondo la lettera ragionare. Per mia donna intendo sempre quella che nella precedente ragione è ragionata, cioè quella luce virtuosissima, Filosofia, li cui raggi fanno dalli fiori rifronzire e fruttificare la verace delli uomini nobilitade, della quale trattare la proposta canzone pienamente intende.