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Alighieri, Dante
Convivio

XII

Nel primo capitolo di questo trattato è sì compiutamente ragionata la cagione che mosse me a questa canzone, che non è più mestiere di ragionarne; ché assai leggiermente a questa esposizione ch'è detta ella si può reducere. E però secondo le divisioni fatte la litterale sentenza transcorrerò, per questa volgendo lo senso della lettera là dove sarà mestiere. Dico: Amor che nella mente mi ragiona. Per Amore io intendo lo studio lo quale io mettea per acquistare l'amore di questa donna: ove si vuole sapere che studio si può qui doppiamente considerare. È uno studio lo quale mena l'uomo all'abito dell'arte e della scienza; è un altro studio lo quale nell'abito acquistato adopera, usando quello. E questo primo è quello ch'io chiamo qui Amore, lo quale nella mia mente informava continue, nuove e altissime considerazioni di questa donna che di sopra è dimostrata: sì come suole fare lo studio che si mette in acquistare un'amistade, che di quella amistade grandi cose prima considera, desiderando quella. Questo è quello studio e quella affezione che suole procedere nelli uomini la generazione dell'amistade, quando già dall'una parte è nato amore, e desiderasi e procurasi che sia dall'altra; ché, sì come di sopra si dice, Filosofia è quando l'anima e la sapienza sono fatte amiche, sì che l'una sia tutta amata dall'altra per lo modo che detto è di sopra. Né più è mestiere di ragionare per la presente sposizione questo primo verso, che per proemio fu nella litterale esposizione ragionato, però che per la prima sua ragione assai di leggiero a questa seconda si può volgere lo 'ntendimento. Onde al secondo verso, lo quale è cominciatore del trattato, è da procedere, là ove io dico: Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira. Qui è da sapere che, sì come trattando di insensibile cosa per cosa sensibile si tratta convenevolemente, così di cosa non intelligibile per cosa intelligibile trattare si conviene. E però, sì come nella litterale si parlava cominciando dal sole corporale e sensibile, così ora è da ragionarne per lo sole spirituale e intelligibile, che è Iddio. Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che 'l sole. Lo quale di sensibile luce sé prima e poi tutte le corpora celestiali e le elementali allumina: così Dio prima sé con luce intellettuale allumina, e poi le creature celestiali e l'altre intelligibili. Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica, e se alcuna se ne corrompe, non è della 'ntenzione della cagione, ma è accidentale effetto: così Iddio tutte le cose vivifica in bontade, e se alcuna n'è rea, non è della divina intenzione, ma conviene quello per accidente essere nello processo dello inteso effetto. Ché se Dio fece li angeli buoni e li rei, non fece l'uno e l'altro per intenzione, ma solamente li buoni. Seguitò poi fuori d'intenzione la malizia de' rei, ma non sì fuori d'intenzione, che Dio non sapesse dinanzi in sé predire la loro malizia; ma tanta fu l'affezione a producere la creatura spirituale, che la prescienza d'alquanti che a malo fine doveano venire, non dovea né potea Iddio da quella produzione rimuovere. Ché non sarebbe da laudare la Natura, se, sappiendo prima che li fiori d'un'arbore in certa parte perdere si dovessero, non producesse in quella fiori, e per li vani abandonasse la produzione delli fruttiferi. Dico adunque che Dio, che tutto intende (ché suo girare è suo intendere), non vede tanto gentil cosa quanto elli vede quando mira là dove è questa Filosofia. Ché, avegna che Dio, esso medesimo mirando, veggia insiememente tutto, in quanto la distinzione delle cose è in lui per lo modo che lo effetto è nella cagione, vede quelle distinte. Vede adunque questa nobilissima di tutte assolutamente, in quanto perfettissima in sé la vede e in sua essenzia. Ché se a memoria si reduce ciò che detto è di sopra, filosofia è uno amoroso uso di sapienza, lo quale massimamente è in Dio, però che in lui è somma sapienza e sommo amore e sommo atto: che non può essere altrove se non in quanto da esso procede. È adunque la divina filosofia della divina essenzia, però che in esso non può essere cosa alla sua essenzia aggiunta; ed è nobilissima, però che nobilissima è la essenzia divina; ed è in lui per modo perfetto e vero, quasi per etterno matrimonio. Nell'altre intelligenze è per modo minore, quasi come druda della quale nullo amadore prende compiuta gioia, ma nel suo aspetto mirando, contentasene la loro vaghezza. Per che dire si può che Dio non vede, cioè non intende, cosa alcuna tanto gentile quanto questa: dico cosa alcuna, in quanto l'altre cose vede e distingue, come detto è, veggendosi essere cagione di tutte. Oh nobilissimo ed eccellentissimo cuore, che nella sposa dello Imperadore del cielo s'intende, e non solamente sposa, ma suora e figlia dilettissima!