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Alighieri, Dante
Convivio

XV

Per le ragionate similitudini si può vedere chi sono questi movitori a cu' io parlo. Ché sono di quella movitori, sì come Boezio e Tulio, li quali colla dolcezza di loro sermone inviarono me, come detto è di sopra, nello amore, cioè nello studio, di questa donna gentilissima Filosofia, colli raggi della stella loro, la quale è la scrittura di quella: onde in ciascuna scienza la scrittura è stella piena di luce, la quale quella scienza dimostra. E manifesto questo, vedere si può la vera sentenza del primo verso della canzone proposta, per la esposizione fittizia e litterale. E per questa medesima esposizione si può lo secondo verso intendere sofficientemente, infino a quella parte dove dice: Questi mi face una donna guardare. Ove si vuole sapere che questa donna è la Filosofia; la quale veramente è donna piena di dolcezza, ornata d'onestade, mirabile di savere, gloriosa di libertade, sì come nel terzo trattato, dove la sua nobilitade si tratterà, fia manifesto. E là dove dice: Chi veder vuol la salute, faccia che li occhi d'esta donna miri: li occhi di questa donna sono le sue dimostrazioni, le quali, dritte nelli occhi dello 'ntelletto, innamorano l'anima liberata nelle sue condizioni. O dolcissimi ed ineffabili sembianti, e rubatori subitani della mente umana, che nelle dimostrazioni, cioè nelli occhi della Filosofia apparite, quando essa colli suoi drudi ragiona! Veramente in voi è la salute, per la quale si fa beato chi vi guarda, e si salva dalla morte della ignoranza e dalli vizii. Ove si dice: sed e' non teme angoscia di sospiri, qui si vuole intendere: s'elli non teme labore di studio e lite di dubitazioni, le quali dal principio delli sguardi di questa donna multiplicatamente surgono, e poi, continuando la sua luce, caggiono quasi come nebulette matutine alla faccia del sole; e rimane libero e pieno di certezza lo familiare intelletto, sì come l'aere dalli raggi meridiani purgato e illustrato. Lo terzo verso ancora s'intende per la esposizione litterale infino là dove dice: «L'anima piange». Qui si vuole bene attendere ad alcuna moralitade, la quale in queste parole si può notare: che non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore; ma se pur seguire si conviene l'uno e lasciare l'altro, lo migliore è da seguire, con alcuna onesta lamentanza l'altro abandonando, nella quale dà cagione, a quello che segue, di più amore. Poi dove dice: «Delli occhi miei», non vuole altro dire se non che forte fu l'ora che la prima dimostrazione di questa donna entrò nelli occhi dello 'ntelletto mio, la quale fu cagione di questo innamoramento propinquissima. E là dove dice: «le mie pari», s'intende l'anime libere dalle misere e vili dilettazioni e dalli vulgari costumi, d'ingegno e di memoria dotate. E dice poi: «ancide»; e dice poi: «son morta»: che pare contro a quello che detto è di sopra della salute di questa donna. E però è da sapere che qui parla l'una delle parti, e là parla l'altra: le quali diversamente litigano, secondo che di sopra è manifesto. Onde non è maraviglia se là dice sì, e qui dice no, se bene si guarda chi discende e chi sale. Poi nel quarto verso, dove dice: «uno spiritel d'amore», s'intende uno pensiero che nasce del mio studio. Onde è da sapere che per amore, in questa allegoria, sempre s'intende esso studio, lo quale è applicazione dell'animo innamorato della cosa a quella cosa. Poi quando dice: tu vedrai di sì alti miracoli addornezza, annunzia che per lei si vedranno li addornamenti delli miracoli: e vero dice, ché li addornamenti delle maraviglie è vedere le cagioni di quelle; le quali ella dimostra, sì come nel principio della Metafisica pare sentire lo Filosofo, dicendo che per questi addornamenti vedere cominciaro li uomini ad innamorare di questa donna. E di questo vocabulo, cioè maraviglia, nel seguente trattato più pienamente si parleràe. Tutto l'altro che segue poi di questa canzone, sofficientemente è per l'altra esposizione manifesto. E così, in fine di questo secondo trattato, dico e affermo che la donna di cu' io innamorai appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia dello Imperadore dell'universo, alla quale Pittagora puose nome Filosofia. E qui si termina lo secondo trattato, che è ordinato a sponere la canzone che per prima vivanda è messa innanzi.