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Alighieri, Dante
Convivio

VI

Secondo che di sopra, nel terzo capitolo di questo trattato, si disse (cioè ch'a bene intendere la prima parte della proposta canzone convenia ragionare di quelli cieli e delli loro motori), nelli tre precedenti capitoli è ragionato. Dico adunque a quelli ch'io mostrai sono movitori del cielo di Venere: O voi che 'ntendendo – cioè collo intelletto solo, come detto è di sopra, – lo terzo cielo movete, / udite il ragionare; e non dico «udite» perch'elli odano alcuno suono, ch'elli non hanno senso, ma dico «udite», cioè, con quello udire ch'elli hanno, ch'è intendere per intelletto. Dico: «Udite il ragionare» lo quale «è nel mio core», cioè dentro da me, ché ancora non è di fuori apparito. E da sapere è che in tutta questa canzone, secondo l'uno senso e l'altro, lo core si prende per lo secreto dentro, e non per altra spezial parte dell'anima e del corpo. Poi li ho chiamati a udire quello ch'io dire voglio, asegno due ragioni per che io convenevolemente deggio loro parlare. L'una si è la novità della mia condizione, la quale, per non essere dalli altri uomini esperta, non sarebbe così da loro intesa come da coloro che 'ntendono li loro effetti nella loro operazione; e questa ragione tocco quando dico: ch'io nol so dire altrui, sì mi par novo. L'altra ragione è: quand'uomo riceve beneficio o vero ingiuria, prima de' quello ritraere a chi liele fa, se può, che ad altri: acciò che se ello è beneficio, esso che lo riceve si mostri conoscente inver lo benefattore; e s'ella è ingiuria, induca lo fattore a buona misericordia colle dolci parole. E questa ragione tocco quando dico: El ciel che segue lo vostro valore, gentili creature che voi sete, mi tragge nello stato ov'io mi trovo. Ciò è a dire: l'operazione vostra, cioè la vostra circulazione, è quella che m'ha tratto nella presente condizione. Però conchiudo e dico che 'l mio parlare a loro dee essere, sì come detto è; e questo dico quivi: Onde 'l parlar della vita ch'io provo, par che si drizzi degnamente a vui. E dopo queste ragioni asegnate, priego loro dello 'ntendere, quando dico: però vi priego che lo mi 'ntendiate. Ma però che in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere alla persuasione, cioè all'abellire dell'audienza, sì come a quella ch'è principio di tutte l'altre persuasioni, come li rettorici sanno, e potentissima persuasione sia, a rendere l'uditore attento, promettere di dire nuove e grandissime cose; séguito io alla preghiera fatta dell'audienza questa persuasione, cioè, dico abellimento, annunziando loro la mia intenzione, la quale è di dire nuove cose, cioè la divisione che è nella mia anima, e grandi cose, cioè lo valore della loro stella. E questo dico in quelle ultime parole di questa prima parte: Io vi dirò del cor la novitate, come l'anima trista piange in lui, e come un spirto contra lei favella, che vien pe' raggi della vostra stella. E a pieno intendimento di queste parole, dico che questo spirito non è altro che uno frequente pensiero a questa nuova donna commendare ed abellire; e questa anima non è altro che un altro pensiero, acompagnato di consentimento, che, repugnando a questo, commenda ed abellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice. Ma però che ancora l'ultima sentenza della mente, cioè lo consentimento, si tenea per questo pensiero che la memoria aiutava, chiamo io lui anima e l'altro spirito: sì come chiamare solemo la cittade quelli che la tengono, e non coloro che la combattono, avegna che l'uno e l'altro sia cittadino. Dico anche che questo spirito viene per li raggi della stella: per che sapere si vuole che li raggi di ciascuno cielo sono la via per la quale discende la loro vertude in queste cose di qua giù. E però che li raggi non sono altro che uno lume che viene dal principio della luce per l'aere infino alla cosa illuminata, e luce non sia se non nella parte della stella, però che l'altro cielo è diafano, cioè trasparente, non dico che vegna questo spirito, cioè questo pensiero, dal loro cielo in tutto, ma dalla loro stella. La quale per la nobilità delli suoi movitori è di tanta vertute, che nelle nostre anime e nell'altre nostre cose ha grandissima podestade, non ostante che essa ci sia lontana, qual volta più c'è presso, cento sessanta sette volte tanto quanto è, e più, al mezzo della terra, che ci ha di spazio tremilia dugento cinquanta miglia. E questa è la litterale esposizione della prima parte della canzone.