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Alighieri, Dante
Convivio

XIX

Poi che nella precedente parte sono pertrattate certe cose e determinate, ch'erano necessarie a vedere come diffinire si possa questa buona cosa di che si parla, procedere si conviene alla seguente parte, che comincia: È gentilezza dovunqu'è vertute. E questa si vuole in due parti reducere: nella prima si pruova certa cosa che dinanzi è toccata e lasciata non provata; nella seconda, conchiudendo, si truova questa diffinizione che cercando si va. E comincia questa seconda parte: Dunque verrà, come dal nero il perso. Ad evidenzia della prima parte, da reducere a memoria è che di sopra si dice che se nobilitade vale e si stende più che vertute, vertute più tosto procederà da essa. La quale cosa ora questa parte pruova, cioè che nobilitade più si stenda; e rende essemplo del cielo, dicendo che dovunque è vertude, quivi è nobilitade. E qui si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di ragione si tiene, quelle cose che per sé sono manifeste non hanno mestiere di pruova: e nulla n'è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, ché ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura virtuosa, nobile essere chiamata. Dice adunque: si com'è 'l cielo dovunqu'è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è virtute, e non virtute dovunque è nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente nobilitade è cielo nello quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, e le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza e fortezza e quasi perpetua valitudine. E tante sono le sue stelle che del cielo risplendono, che certo non è da maravigliare se molti e diversi frutti fanno nella umana nobilitade: tante sono le nature e le potenze di quella, in una sotto una semplice sustanza comprese e adunate, nelle quali sì come in diversi rami fruttifica diversamente. Certo da dovero ardisco a dire che la nobilitade umana, quanto è dalla parte di molti suoi frutti, quella dell'angelo soperchia, tutto che l'angelica in sua unitade sia più divina. Di questa nobilitade nostra, che in tanti e tali frutti fruttificava, s'accorse lo Salmista, quando fece quel Salmo che comincia: «Segnore nostro Dio, quanto è ammirabile lo nome tuo nell'universa terra», là dove commenda l'uomo, quasi maravigliandosi del divino affetto in essa umana creatura, dicendo: «Che cosa è l'uomo, che tu, Dio, lo visiti? Tu l'hai fatto poco minore che li angeli, di gloria e d'onore l'hai coronato, e posto lui sopra l'opere delle mani tue». Veramente dunque bella e convenevole comparazione fu del cielo all'umana nobilitade. Poi quando dice: E noi in donna ed in età novella, pruova ciò che dico, mostrando che la nobilitade si stenda in parte dove virtù non sia. E dice poi: «vedem questa salute»; e tocca nobilitade, che bene è vera salute, essere là dove è vergogna, cioè tema di disnoranza, sì come è nelle donne e nelli giovani, dove la vergogna è buona e laudabile; la quale vergogna non è vertù, ma certa passione buona. E dice: E noi in donna e in età novella, cioè in giovani: però che, secondo che vuole lo Filosofo nel quarto dell'Etica, «vergogna non è laudabile né sta bene nelli vecchi e nelli uomini studiosi», però che a loro si conviene di guardare da quelle cose che a vergogna li conducano. Alli giovani e alle donne non è tanto richesto di cotale opera, e però in loro è laudabile la paura del disnore ricevere per la colpa: che da nobilitade viene e nobilitade si puote credere e in loro chiamare, sì come viltade e ignobilitade la sfacciatezza. Onde buono e ottimo segno di nobilitade è, nelli pargoli e imperfetti d'etade, quando dopo lo fallo nel viso loro vergogna si dipinge, che è allora frutto di vera nobilitade.