TULLIO
Questione apella quella che àe in sé controversia posta in dicere sanza interposizione di certe persone, a questo modo: Che èe bene fuori d'onestade? Sono li senni veri? Chente è la forma del mondo? Chente è la grandezza del sole? Le quali questioni intendemo tutti leggiermente essere lontane dall'officio del parliere; ché molto n'è grande mattezza e forseneria somettere al parliere in guisa di picciole cose quelle nelle quali noi troviamo essere consumata la somma dello 'ngegno de' filosofi con grandissima fatica.
SPONITORE
Ora dice Tulio che Ermagoras appellava questione quella cosa sopra la quale era controversia intra molti, sicché contendeano di parole l'uno contra l'altro non nominando certa persona la quale propiamente s'apartenesse alle civili questioni. Et in ciò pone cotale exemplo: «Che è bene fuori d'onestade?». Grande contraversia fue intra ' filosofi qual fosse il sovrano bene in vita: et erano molti che diceano d'onestade, e questi fuoro i parepatetici; altri erano che diceano di volontade, e questi sono epicurii. Altressì fue questione se' senni sono veri, perciò che alcuna fiata s'ingannano, ché se noi credemo che ricalco sia oro sanza fallo s'inganna il nostro senno. Altressì fue questione della forma del mondo, però ch'alcuni filosofi provavano che 'l mondo è tondo, altri dicono ch'è lungo, o otangolo, o quadrato. Altressì era questione della grandezza del sole, ché alcuni dicono che 'l sole è otto tanti che lla terra, altri più et altri meno. Et questa misura si sforzavano di cogliere i maestri di geometria misurando la terra, e per essa misura ritraeano quella del sole. Et perciò mostra Tulio che Ermagoras non intese quello che dicea, ch'assai legiermente s'intende che queste cotali questioni non toccano l'ufficio del parliere. Et nota che dice «officio» però che ben potrebbe essere che 'l parliere fosse filosofo, e così toccherebbe bene a llui trattare di quelle questioni, ma ciò non arebbe per officio di rettorica ma di filosofia. Donque ben è fuori della mente e vano di senno quelli che dice che 'l parliere possa o debbia trattare di queste questioni, nelle quali tutto tempo si consumano et affaticano i filosofi. Or à provato Tulio che Ermagoras non intese quello che disse. Omai proverà come non attese quello che promise, in ciò che promettea di trattare per rettorica ogne causa et ogne questione. Et ciò fae a guisa de' savi, i quali vogliendo mostrare la loro sapienzia sì ll'apongono ad alcuna arte per la quale non si puote provare; come s'alcuno volesse trattare d'una questione di dialetica et aponessela a gramatica, per la quale non si pruova né ssi potrebbe provare, e ciò mosterrebbe usando per argomenti la sua sapienzia; e sopr'a cciò ecco 'l testo di Tulio.